LA CAMPAGNA DI FRANCIA. Di Emilio Bonaiti
Il primo settembre 1939 inizia la seconda guerra civile1 tra popoli europei, terminerà con la morte dell’Europa come potenza internazionale.
Il primo settembre 1939 le cambiali firmate, gli errori commessi vengono al pettine. La totale incomprensione della natura dei due totalitarismi nati e cresciuti in Europa, l’isolazionismo americano, il pacifismo sordo ad ogni evidenza, il rifiuto agli allarmi che uomini che sapevano guardare lontano lanciavano, la debolezza, la mediocrità, l’incapacità dei dirigenti delle due democrazie ad assumere una comune politica di difesa, portarono a una “guerra di religione” come la definì Benedetto Croce. Circa cinquanta milioni di esseri umani non ne videro la fine.
Chamberlain: “raggrinzito, abbattuto e invecchiato”, così alla BBC il 3 settembre alle ore 11,15, parla al popolo inglese: “È per tutti noi un giorno ben triste […] e per nessuno è più triste che per me […] Obiettivo della guerra la distruzione dell’hitlerismo […] la restaurazione della libertà in Europa”.
Alle 12,30 dello stesso giorno l’ambasciatore francese Coulondre comunica a Ribbentrop l’inizio delle ostilità dalle cinque del pomeriggio. Daladier in un discorso al popolo francese esprime la sua amarezza: “Siamo in guerra perché siamo stati obbligati”. La Francia entra in guerra "à reculon”, sotto la pressione dell’alleato.
La politica dell’appeasement, il tentativo di creare un nuovo equilibrio con ragionevoli rettifiche ai confini stabiliti a Versailles è fallita. Era una politica obbligata dalla pochezza degli armamenti e dal rifiuto dell’opinione pubblica a usarli, un’opinione pubblica sostanzialmente pacifista che non percepiva minacce alla sicurezza collettiva e che fino all’ultimo si illuse sul disarmo, sul prevalere dell’utopia sulla realtà.
Il clima era grandemente diverso da quello dell’agosto 1914 quando i giovani europei erano andati lietamente alla guerra, “la der des der", l’ultima delle ultime, la “festa crudele” dalla quale moltissimi non sarebbero tornati. In Francia la memoria dell’immane eccidio, 1.400.000 morti, 800.000 grandi mutilati, due milioni di non nati, era incisa nei cuori e nelle coscienze e la guerra nel 1939 fu accolta con rassegnazione, tuttavia i figli dei soldati del 1914 andarono al fronte con disciplina e la percentuale dei disertori fu bassissima, solo l’1%.
La fiducia nei capi era assoluta. Come si potevano mettere in dubbio le parole di Weygand: “L’esercito francese ha il valore più grande di alcun momento della sua storia; possiede un materiale di prima qualità, delle fortificazioni di prim’ordine, un morale eccellente e un Alto Comando di valore. Noi non desideriamo la guerra ma se saremo obbligati a guadagnarci una nuova vittoria, noi la guadagneremo”. Si aggiungeva Gamelin che nell’agosto 1939 garantì al primo ministro: “Possiamo affrontare un conflitto, abbiamo una discreta parità negli armamenti”.