Dal libro Sulle orme di mio padre. Di Cruz Rios
- Dal libro Sulle orme di mio padre. Di Cruz Rios
- L'arrivo in Italia e il trasferimento verso l'appennino
- L'attacco a M.te Belvedere
- La difesa di M.te Belvedere dai contrattacchi Tedeschi
- Il Malandrone, Cimon della Piella e Pietracolora
- La conquista di Castel d'Aiano e M.te della Spe
- L'offensiva di primavera
- Tolè e verso Monte Pastore
- La presa e l'attraversamento di Savigno
- L'entrata nella Pianura Padana
- L'attraversamento del fiume Po
- La fine della guerra in Italia
- Il ritorno in America e alla famiglia
- Tutte le pagine
Comunque anche noi soffrivamo d’insonnia. A volte, solo pensare alla guerra, può ucciderti prima della guerra stessa. Cercammo in tutti i modi di dormire quella notte ma invano. Il mattino dopo ci aspettavamo un contrattacco da parte dei tedeschi, su tutta la linea. Verso la cima del Monte Belvedere e lungo entrambi i lati del monte. La difesa era ben piazzata, con mitragliatrici, soldati ben addestrati e mortai appostati sulle cunette. Tutto era pronto per la nostra difesa.
Quella notte del 20 febbraio, il nostro comandante di reggimento, il colonnello David Fowler, diede ordine di controllare che ogni cosa fosse a posto, come diceva lui … abbottonata. Ci voleva pronti per il contrattacco del giorno seguente. Gli ordini furono eseguiti da un maggiore del nostro battaglione, il quale uscì a fare un controllo generale. Precedentemente era stato ordinato di sparare a qualsiasi cosa si muovesse. Per questo egli fu ucciso, dalle nostre stesse truppe. Un Maggiore yeah!
A Corona avevo piazzato il mortaio in una trincea piuttosto grande perché ci fosse sufficiente spazio per tre, compreso l’artigliere Fred Palmer, che veniva dal Maine. Io caricavo il mortaio e Fred mirava il bersaglio. Attendeva ordini telefonici dal sergente, appostato poche decine di metri più avanti, che teneva l’azione sotto controllo. Il sergente comunicava a Fred la distanza e noi sparavamo un colpo perché lui potesse vedere il punto d’impatto. Quindi il sergente ci diceva se era troppo corto o troppo lungo, troppo a destra o a sinistra. I colpi troppo corti avrebbero potuto uccidere i nostri stessi uomini.
Volevamo assicurarci di coprire i punti non in vista del tiro delle nostre mitragliatrici. Fred regolava la mira in base alle indicazioni del sergente e sparava un altro colpo. Se questo andava a segno eravamo “Let go”. Cercavamo di piazzare bene la postazione del mortaio sin dall’inizio in modo da non doverci poi spostare troppo indietro o di lato.Il mortaio è un’arma molto semplice. E’ costituito da una canna con uno spillo sul fondo. Si inserisce il proiettile da mortaio, il quale, una volta colpito lo spillo sul fondo, viene espulso verso l’alto dalla carica esplosiva producendo una sorta di sordo ‘pop’.
Se mi chiedete come mi sentivo quando i tedeschi cominciarono il contrattacco, ora ve lo spiego. Sono stato cresciuto con il senso del rispetto per la vita. Una volta arruolato, però, dopo che mi sono stati consegnati fucile e baionetta, ho deciso che avrei fatto di tutto per difendermi. Mi dicevo “O io o lui”. Ecco cosa provavo. E così non mi facevo scrupoli. Uccidere qualcuno a sangue freddo è una cosa ma quando ti trovi là in combattimento la storia è diversa. Sei là per far il tuo dovere che tu abbia paura o meno, lo fai e basta. Il momento prima dell’attacco è molto duro da affrontare, perché cominci a chiederti “Ce la farò?”. Una volta che ci sei dentro vai avanti, fai il tuo dovere e non pensi più a nulla. Semplicemente fai il lavoro per cui sei stato addestrato e pensi a difendere te stesso, non c’è più tempo per altro. Credo che tutti i soldati si sentano così. Hanno un compito da svolgere. Penso che nessuno di loro lo faccia per odio ma è tuo dovere farlo. Io mettevo tutto in fondo alla mia mente, cercavo di non pensarci. Rispetto tutti quelli che reagiscono in modo diverso ma è così che mi sentivo.
I contrattacchi tedeschi non durarono troppo a lungo. A volte si trattava di un’intera compagnia, altre volte di una ventina di uomini o addirittura di una squadra di soli nove uomini. I poveri tedeschi non avevano possibilità di scampo. A pensarci bene ora, non potevano resistere al nostro fuoco, anche se alle volte eravamo nella stessa loro situazione quando attaccavamo le loro difese, subendo ingenti danni. Penso che dipendesse semplicemente da chi faceva meglio il proprio lavoro. Il nostro morale era alto, mentre per i tedeschi, in quel momento, penso fosse piuttosto basso. I loro armamenti erano magnifici, qualche volta ho pensato che fossero migliori dei nostri.
Sapevano che avevano una missione da compiere, e quindi combattevano. I tedeschi erano pericolosi, molto pericolosi quindi sparavi a tutto quello che hai davanti e speri per il meglio. Alcuni tedeschi furono uccisi, altri feriti e questo era tutto ciò che avevamo attorno.
Terminato un contrattacco tedesco spesso uscivamo allo scoperto ad esaminare la situazione. Da altre compagnie si diceva che a volte i tedeschi alzavano la bandiera con la croce rossa e andavano a recuperare i propri compagni caduti o feriti sul campo. Io non ho mai assistito a questa scena. Sovente i corpi rimanevano invece là a putrefarsi. Questo è il destino degli uomini che vanno in guerra. Sapevi che poteva arrivare il tuo momento, dovevi controllare le tue emozioni. Mi sentivo dispiaciuto per loro ma se ci fossimo ritrovati nella stessa situazione, gli avremmo probabilmente dovuto sparare un’altra volta. Questa è la guerra. Soprattutto nelle squadre fucilieri ci furono brutte esperienze con alcuni tedeschi che, con dei fucili mitragliatori nascosti, sembrava si arrendessero. Avanzavano con le mani in alto e poi si buttavano a terra e sparavano contro chi pensava di prenderli semplicemente prigionieri. Divenne molto pericoloso e dopo quegli episodi non volevano più prenderne.
Alcuni uomini diventarono d’acciaio. Probabilmente perché privi di coscienza. Uccidevano e basta anche chi si arrendeva. Ho letto storie simili in Vietnam e ora capisco perché. Nel vivo di una battaglia non riesci a pensare lucidamente.
Dopo tre o quattro giorni passati nelle trincee e dopo che erano terminati i contrattacchi tedeschi, a Corona subentrò la Forza di Spedizione Brasiliana insieme ad elementi della 92a divisione che era composta da Afro-Americani. Alcune compagnie del nostro battaglione rimasero, mentre altre arretrarono nelle immediate retrovie a Vidiciatico e soltanto alcune a Lizzano. A Vidiciatico ci riposammo e ripulimmo per bene mentre la linea del fronte si stabilizzava e non c’erano più molti combattimenti. Naturalmente c’erano sempre proiettili di artiglieria che ogni tanto capitavano da quelle parti ma sicuramente molto meno numerosi rispetto a prima. Un reggimento alla volta si prese un periodo di riposo nelle retrovie vicino a Montecatini e Lucca, da dove si poteva andare a visitare Pisa o Firenze.
Val: Cosa successe tra la prima e la seconda offensiva?
Non passò troppo tempo tra la prima e la seconda offensiva, più o meno una settimana. Preso Monte Belvedere e ritornati nelle retrovie, dove prendemmo un breve periodo di riposo, ci sentivamo pronti per la seconda offensiva che scattò in marzo. Allora mi chiesi perché non avessimo proseguito prima. Avevamo sfondato le linee tedesche e ora avevamo lasciato loro il tempo di riorganizzare le loro trincee e le loro linee di difesa. Penso che nell’esercito funzioni così. Questo è il loro modo di lavorare. Penso che il motivo principale fosse la preparazione per l’offensiva di primavera che scattò in aprile.