Dal libro Sulle orme di mio padre. Di Cruz Rios
- Dal libro Sulle orme di mio padre. Di Cruz Rios
- L'arrivo in Italia e il trasferimento verso l'appennino
- L'attacco a M.te Belvedere
- La difesa di M.te Belvedere dai contrattacchi Tedeschi
- Il Malandrone, Cimon della Piella e Pietracolora
- La conquista di Castel d'Aiano e M.te della Spe
- L'offensiva di primavera
- Tolè e verso Monte Pastore
- La presa e l'attraversamento di Savigno
- L'entrata nella Pianura Padana
- L'attraversamento del fiume Po
- La fine della guerra in Italia
- Il ritorno in America e alla famiglia
- Tutte le pagine
All’attracco al porto di Napoli c’era già un treno ad aspettarci: appena scesi dalla nave marciammo direttamente verso i vagoni merci e partimmo, la notte stessa, in direzione nord. Il viaggio durò circa due giorni. Ricordo però che mi chiedevo come ci saremmo difesi dagli aerei tedeschi che avrebbero potuto passare raso terra e scaricare le loro mitragliatrici su di noi. Riuscivamo evidentemente a tenere sotto controllo la situazione aerea perché nessun aereo tedesco ci sorvolò. La guerra stava ormai volgendo al termine e si vedevano pochi aerei tedeschi in cielo. Non ricordo esattamente in quanti eravamo in un vagone: ero talmente attratto dal paesaggio che per quasi tutto il viaggio ho guardato fuori. Vedevo una terra devastata dai bombardamenti soprattutto lungo le ferrovie e nelle zone adibite al trasporto. Le zone del sud erano state teatro di combattimenti prima del nostro arrivo.
Una cosa mi è rimasta impressa: ogni volta che facevamo una sosta, ci ritrovavamo circondati da gruppi di bambini che chiedevano cibo o qualsiasi altra cosa potessero avere da noi. Eravamo dispiaciuti e noi davamo loro tutto ciò che potevamo. Cibo soprattutto, per placare la fame di quei bimbi che probabilmente si ritrovavano senza più una casa. Ognuno di noi fece il possibile per loro e offrimmo tutto ciò che avevamo anche se non era molto.
Facemmo una sosta a Roma di un’ora soltanto, per poi proseguire il viaggio. Conservo ancora una foto scattata davanti alla stazione dei treni. Non so se risale proprio a quel mese ma è comunque una foto di Roma.
Arrivammo fino a Livorno dove, scesi dal treno, ci portarono con dei camion in una area di attesa vicino a Pisa che ci dissero essere stata l’antica tenuta di caccia del Re. Era gennaio e il terreno era completamente ricoperto di neve. Montammo le nostre tende e bivaccammo là per qualche giorno che trascorremmo tra marce ed esercitazioni. Poi, verso la metà di Gennaio, fummo trasferiti al settore “Quiet”, prima nei pressi di Villa Colli poi nell’area di S.Marcello Pistoiese, in attesa di spostarci sulla linea del fronte per l’attacco a Monte Belvedere.
Val: “Siete riusciti a parlare con qualche abitante?”
“No, assolutamente no. Non ne avevamo l’occasione, non facevamo altro che marciare e inoltre ci era stato proibito rivelare ad alcuno la nostra identità. I tedeschi però lo sapevano, non so come ma sapevano chi eravamo.”
Val: “Che tipo di mezzi di trasporto utilizzavate?”
Ci spostavamo su camion dell’esercito. Solo più tardi, in prossimità delle linee del fronte , ci spostavamo a piedi per non farci vedere dagli osservatori tedeschi e comunque solo durante la notte, durante il giorno era troppo rischioso.
Raggiungemmo la linea del fronte nell’area di Monte Belvedere verso la fine di Gennaio e durante le prime settimane non successe nulla. Alcuni di quei giorni li passavamo esclusivamente di pattuglia. Saggiavamo le difese delle linee tedesche e loro facevano la stessa cosa. Ogni tanto il tutto sfociava in qualche sparatoria. Le perlustrazioni erano effettuate da squadre di circa dieci soldati alla volta che andavano in cerca dei tedeschi per studiare la loro prossima mossa. Penso che questo servisse a tenere in allerta sia noi che i tedeschi.
Val: “ Che ruolo avevi, quali erano le tue mansioni all'interno della Compagnia K?”
Per questo dobbiamo tornare un po’ indietro al mio primo incontro con la Compagnia K. Dopo aver completato l’addestramento di base a Camp Roberts, l’87° Reggimento fu trasferito, verso la metà di Giugno del 1943, a Fort Ord dove rimanemmo per circa due settimane. Allora non conoscevamo il motivo del nostro trasferimento. Quando sei nell’esercito semplicemente vieni spedito da qualche parte e non sai dove fino a quando ci arrivi. Ricordo che un giorno mi chiesero “Dove vuoi andare? Non voglio sapere in che compagnia, dimmi se vuoi maneggiare un fucile o essere un mortaista o un mitragliere all’interno del plotone armi”. Io risposi che sceglievo i mortai. E così finii ai mortai e, senza lasciarmi possibilità di scelta, nella Compagnia K che era formata anche dai mortaisti. Conoscevo bene i mortai, con cui avevo avuto a che fare durante l’addestramento. Ero pratico anche delle mitragliatrici ma scelsi i mortai. Questo è stato il mio ingresso nella Compagnia K.
Tra l’altro ’87° reggimento era costituito in gran parte da soldati volontari, nella maggior parte uomini istruiti. Molti di loro provenivano dalla Ivy league schools, altri dalla zona orientale del paese, pochi da ovest. Mi chiesi “Cosa ci faccio io qui?”. Voglio dire, quelle persone erano tutte simili tra loro, così ancora oggi, quando mi chiedono come mai sono finito nell’87° reggimento, rispondo che probabilmente mi hanno messo là perché avevano bisogno di uomini.
Val: Che tipo di equipaggiamento personale trasportavate?
Normalmente nello zaino tenevamo il cibo e alcune razioni K che bastavano per un pasto. Contenevano cioccolata, un po’ di crackers e carne in scatola. Quanto eravamo stufi della carne in scatola! Eravamo anche muniti di una coperta leggera, una piccola tenda, una zappa, un badile e una borraccia. In più ognuno di noi portava o un fucile o parti di un mortaio o qualsiasi altro tipo di arma. Io solitamente trasportavo sia la base che la canna del mortaio. In determinati luoghi di combattimento mi davano anche una piccola carabina. È chiamata carabina perché è più piccola di un fucile di fanteria e serve solo per la difesa personale, non per gli scontri a fuoco. Normalmente avevo una pistola, con la quale probabilmente neanche facevi fuori un uccello ma la portai con me durante tutto il periodo in Italia. Questo era tutto quello che portavamo nello zaino, che ci serviva per le nostre notti e in ogni luogo. Forse a questo si aggiungeva qualche altro oggetto ma di minor importanza. A volte avevamo anche delle calze di ricambio, molto importanti perché se sudavi andavano cambiate spesso.